Su proposta del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, il Consiglio dei Ministri ha approvato qualche giorno fa un decreto legge che è stato subito ribattezzato come «svuota carceri». Il brutto nome, tuttavia, non può non piacere a chi da anni si occupa delle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri italiane, condizioni disumane per le quali più volte il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ministro ha spiegato che il decreto intende procedere con una doppia linea di intervento avendo come obiettivo, da un lato, quello di favorire l’uscita dal carcere dei detenuti non pericolosi che abbiano già scontato parte della loro pena e, dall’altro, di ridurre gli ingressi nelle carceri aumentando le possibilità di accedere a pene alternative alla detenzione. Questi obiettivi possono raggiungersi estendendo gli spazi di applicabilità di alcune misure alternative già previste dal nostro ordinamento per determinate categorie di soggetti come i recidivi per piccoli reati. Per le donne madri e per i soggetti affetti da gravi patologie sarà possibile, con il decreto del Governo, accedere alla detenzione domiciliare nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore a quattro anni. Insomma un intervento che tende nel complesso a porre un argine al problema del sovraffollamento penitenziario che affligge da sempre il nostro Paese e che tutti i Governi di ogni colore politico hanno affrontato sotto la spinta dell’urgenza di dover ridurre una popolazione carceraria che ha sempre superato e che anche oggi supera di gran lunga le possibilità ricettive degli istituti penitenziari. Il nuovo provvedimento dovrebbe portare a ridurre la popolazione carceraria di circa diecimila unità entro il 2016 e va nella direzione, certamente condivisibile, di superare il carcere come forma di pena in tutti i casi in cui non siano stati commessi reati gravi e non vi sia una pericolosità sociale del condannato. Appare chiaro infatti a tutti gli studiosi ed anche ai pratici dell’argomento che la destinazione al sistema carcerario di pressoché tutte le risorse che il Ministero di Grazia e Giustizia investe per la “riabilitazione” dei condannati senza lasciare praticamente spazio alcuno all’organizzazione delle misure alternative, rappresenta un rafforzamento di quella cosiddetta Università del crimine che il carcere obiettivamente è. Una Università nella quale quanti vi entrano, magari per piccoli reati e per trascorrervi ingiustificabili “attese di giudizio”, finiscono col “fare carriera”, fino ad arrivare alle grandi organizzazioni della mafia scalandone, a suon di crimini, e magari di colpi di pistola, le relative gerarchie.
Da tempo Marco Pannella, con i suoi ripetuti scioperi della fame e della sete, ha cercato di riportare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema delle condizioni disumane dei detenuti nelle carceri italiane e della mostruosità di un sistema penitenziario che non rispetta in nessun modo il dettato costituzionale e non è mai riuscito a provvedere con successo al reinserimento sociale degli ex detenuti. Ma non solo di questo si tratta. Si tratta anche, investendo sulle figure e sulle misure alternative (educatori, lavoro, messa alla prova…) di difendere la società, con un più di speranza che faccia circolare un ben diverso ethos di ciò che è possibile attendersi dallo Stato e dalla Comunità civile, in alternativa, per quanto possibile, alle sbarre e alle manette che danno l’inevitabile immagine e la cupa colonna sonora del mondo carcerario. Certo è incredibile che la situazione sia oggi addirittura peggiore di quella seguita all’indulto del 2006 e ci sia la necessità di pensare a un nuovo provvedimento di amnistia verso il quale si è dichiarata disponibile lo stesso ministro Cancellieri e che sicuramente è visto con simpatia da tutti coloro che hanno a cuore le sorti dei detenuti. Perché le cose cambino sul serio forse è ora di diventare ‘radicali cattolici’. Un radicale cattolico è un italiano che ha sempre ammirato pontefici come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, che ha visto entrare tra le mura del carcere per portare una parola di speranza e, al tempo stesso, ha sempre guardato con simpatia, e spesso condiviso, le battaglie per dare a questo Paese una giustizia che funzioni e che assicuri condizioni più umane per i detenuti.
Se il Ministro Cancellieri, oggi a Napoli per parlare con Roberto Saviano di legislazione antimafia nell’ambito del Sabato delle Idee, parlerà anche del suo decreto “svuota carceri”, non sarà fuori tema perché diversamente da quanto molti pensano, le mafie si combattono anche fornendo umana speranza, terreno sul quale, al contrario di quello della violenza, la mafie non hanno davvero nulla da offrire.
Lucio d’Alessandro
Articolo Pubblicato su “Il Mattino” del 29 Giugno 2013 – Apri
Il Mattino mette insieme gli interventi di Saviano e di Lucio d’Alessandro sul tema delle carceri.